tratto da:

Catechismo della Chiesa Cattolica – Testo integrale – Nuovo commento teologico-pastorale

(a cura di mons. Rino Fisichella)

Libreria Editrice Vaticana – Edizioni San Paolo 2017

 

Castità e omosessualità

 

(di don Aristide Fumagalli)

 

La genesi ancora ampiamente inspiegabile dell’omosessualità impedisce di definirla come una malattia psichica, una scelta deliberata o un vizio morale. La variabilità delle sue forme culturali e storiche inviterebbe inoltre a considerare, più che «la» omosessualità, «le» omosessualità, valorizzando la singolarità delle persone rispetto all’orientamento e ai comportamenti omosessuali. Anche la persona omosessuale, come ogni persona, gode di una dignità che vieta ogni ingiusta discriminazione e, come ogni cristiano, è chiamata a corrispondere alla volontà di Dio praticando la castità.
La castità omosessuale, come ogni altra forma di castità non matrimoniale, non contempla i rapporti sessuali, che nel caso di persone omosessuali, peraltro, non sono connotati dalla differenza dei sessi e dalla potenzialità generativa. L’assenza della complementarietà sessuale e dell’apertura alla vita è il motivo per cui, secondo la Tradizione morale della Chiesa, gli atti omosessuali, oggettivamente considerati, sono detti intrinsecamente disordinati rispetto agli atti coniugali tra uomo e donna.
Gli atti omosessuali sono, per un numero non trascurabile di persone, indotti da una tendenza omosessuale profondamente radicata, che mette alla prova la loro pratica della castità. La possibilità di crescere gradualmente e decisamente nella virtù della castità, al fine di corrispondere, nella propria peculiare condizione omosessuale, al comandamento di Cristo di amare come lui ha amato, non può prescindere dalla grazia che lo Spirito Santo comunica nella preghiera e nei sacramenti, nonché attraverso l’amicizia disinteressata di chi condivide la sequela di Cristo, in obbedienza al suo amore.