CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

PERSONA HUMANA

ALCUNE QUESTIONI DI ETICA SESSUALE

29 dicembre 1975(1)

1. La persona umana, a giudizio degli scienziati del nostro tempo, è così profondamente influenzata dalla sessualità, che questa deve essere considerata come uno dei fattori che danno alla vita di ciascuno i tratti principali che la distinguono. Dal sesso, infatti, la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna, condizionando così grandemente l’iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società. È questa la ragione per cui – come chiunque può agevolmente costatare ciò che riguarda il sesso è oggi una materia che frequentemente e apertamente è trattata da libri, riviste, giornali e gli altri strumenti di comunicazione sociale.
Frattanto, s’è accresciuta la corruzione dei costumi, di cui uno dei più gravi indizi è la smoderata esaltazione del sesso, mentre con la diffusione degli strumenti di comunicazione sociale e degli spettacoli, essa è arrivata ad invadere il campo della educazione e ad inquinare la mentalità comune.
In questo contesto, se alcuni educatori, pedagogisti o moralisti, hanno potuto contribuire a far meglio capire e integrare nella vita i peculiari valori dell’uno e dell’altro sesso, altri, invece, hanno proposto concezioni e modi di comportamento che sono in contrasto con le vere esigenze morali dell’essere umano, addirittura tali da favorire un licenzioso edonismo.
Ne è risultato che, anche tra i cristiani, insegnamenti, criteri morali e maniere di vivere, finora fedelmente conservati, sono stati nel giro di pochi anni fortemente scossi, e sono numerosi quelli che oggi, dinanzi a tante opinioni largamente diffuse e contrarie alla dottrina che hanno ricevuto dalla chiesa, finiscono col domandarsi quel che devono ancora ritenere per vero.
Difficoltà incontrate dai pastori ed educatori
2. La chiesa non può restare indifferente dinanzi a tale confusione degli spiriti e a tale rilassamento dei costumi. Si tratta, infatti, di una questione importantissima per la vita personale dei cristiani e per la vita sociale del nostro tempo.(2)
Ogni giorno i vescovi sono indotti a costatare le crescenti difficoltà che incontrano i fedeli nel prendere coscienza della sana dottrina morale, specialmente in materia sessuale, e i pastori nell’esporla con efficacia. Essi si sentono chiamati, in forza del loro ufficio pastorale, a rispondere su questo punto così grave ai bisogni dei fedeli ad essi affidati; e già importanti documenti sono stati pubblicati circa questa materia da alcuni di loro, o da alcune conferenze episcopali. Tuttavia, poiché le opinioni erronee e le deviazioni che ne risultano continuano a diffondersi dappertutto, la congregazione per la dottrina della fede, in virtù della sua funzione nei confronti della chiesa universale(3) e per mandato del sommo pontefice, ha ritenuto necessario pubblicare la presente dichiarazione.
3. Gli uomini del nostro tempo sono sempre più persuasi che la dignità e la vocazione della persona umana richiedono che, alla luce della loro ragione, essi scoprano i valori inscritti nella loro natura, che li sviluppino incessantemente e li realizzino nella loro vita, in vista di un sempre maggiore progresso.
Ma, in materia morale, l’uomo non può emettere giudizi di valore secondo il suo personale arbitrio: «Nell’intimo del propria coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a dati e alla quale deve obbedire… Egli ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore, obbedire alla quale è la dignità stessa del l’uomo e secondo la quale egli sarà giudicato».(4)
Inoltre, a noi cristiani, Dio mediante la sua rivelazione ha fatto conoscere il suo disegno di salvezza e ha proposto il Cristo, salvatore e santificatore, nella sua dottrina e nel suo esempio, come la norma suprema e immutabile della vita, lui, il quale ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Non può, dunque, esserci vera promozione della dignità dell’uomo se non nel rispetto dell’ordine essenziale della sua natura. Certo, nella storia della civiltà, molte condizioni concrete ed esigenze della vita umana sono mutate e muteranno ancora; ma ogni evoluzione dei costumi e ogni genere di vita devono essere contenuti nei limiti imposti dai principi immutabili, fondati sugli elementi costitutivi e le relazioni essenziali di ogni persona umana: elementi e relazioni che trascendono le contingenze storiche.
Questi principi fondamentali, che la ragione può cogliere, sono contenuti nella «legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio, nel suo disegno di sapienza e di amore, ordina, dirige e governa l’universo e le vie della società umana. Dio rende partecipe l’uomo di questa sua legge, cosicché l’uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l’immutabile verità».(5) Questa legge è accessibile alla nostra conoscenza.
Leggi immutabili naturali
4. A torto, quindi, molti oggi pretendono che, per servire di regola alle azioni particolari, non si possa trovare né nella natura umana né nella legge rivelata altra norma assoluta e immutabile, se non quella che si esprime nella legge generale della carità e del rispetto della dignità umana. A prova di questa asserzione essi sostengono che nelle cosiddette norme della legge naturale o precetti della sacra Scrittura, non si deve vedere altro che determinate espressioni di una forma di cultura particolare in un certo momento della storia.
Ma, in realtà, la rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in rilievo esigenze autentiche della umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l’esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana e che si manifestano identiche in tutti gli esseri, dotati di ragione.
Inoltre, Cristo ha istituito la sua chiesa come «colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3,15). Con l’assistenza dello Spirito santo, essa conserva incessantemente e trasmette senza errore le verità dell’ordine morale, e interpreta autenticamente non soltanto la legge positiva rivelata, «ma anche i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana»,(6) e che concernono il pieno sviluppo e la santificazione dell’uomo. Ora di fatto, la chiesa, nel corso della sua storia, ha costantemente considerato un certo numero di precetti della legge naturale come aventi valore assoluto e immutabile, e ha visto nella loro trasgressione una contraddizione con la dottrina e lo spirito del vangelo.
5. Poiché l’etica sessuale riguarda certi valori fondamentali della vita umana e della vita cristiana, è pure ad essa che si applica questa dottrina generale. In questo campo esistono principi e norme che la chiesa, senza alcuna esitazione, ha sempre trasmesso nel suo insegnamento, per quanto opposti potessero essere ad essi le opinioni e i costumi del mondo. Questi principi e queste norme non hanno affatto origine da un certo tipo di cultura, ma appunto dalla conoscenza della legge divina e della natura umana. Essi non possono, pertanto, ritenersi superati né messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale.
Sono questi i principi che hanno ispirato i suggerimenti e le direttive del concilio Vaticano II per una educazione e una organizzazione della vita sociale, che tengano debito conto della eguale dignità dell’uomo e della donna, nel rispetto della loro differenza.(7)
Parlando dell’indole sessuata dell’essere umano e della facoltà umana di generare, il concilio ha notato che esse «sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita».(8) Poi si è particolarmente dedicato ad esporre i principi e i criteri, che concernono la sessualità umana nel matrimonio e che hanno il loro fondamento nella finalità della sua funzione specifica.
A questo proposito, il concilio dichiara che la bontà morale degli atti propri della vita coniugale, ordinati secondo la pera dignità umana, «non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinata da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(9)
Queste ultime parole riassumono brevemente la dottrina del concilio – esposta in precedenza con maggior ampiezza della stessa costituzione(10) – circa la finalità dell’atto sessuale e criterio principale della sua moralità: è il rispetto della sua finalità che garantisce l’onestà di questo atto.
Questo stesso principio, che la chiesa attinge alla rivelazione divina e alla propria interpretazione autentica della legge naturale, fonda anche la sua dottrina tradizionale, secondo la quale l’uso della funzione sessuale ha il suo vero senso e la sua attitudine morale soltanto nel matrimonio legittimo.(11)
Rapporti prematrimoniali
6. La presente dichiarazione non intende trattare di tutti gli abusi della facoltà sessuale né di tutto ciò che implica la pratica della castità; essa si propone di richiamare la dottrina della chiesa intorno ad alcuni punti particolari, considerata l’urgente necessità di opporsi a gravi errori e a comportamenti aberranti e largamente diffusi.
7. Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale; ciò soprattutto quando la celebrazione del matrimonio è impedita dalle circostanze esterne, o se questa intima relazione sembra necessaria perché sia conservato l’amore.
Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana. secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. Ora, è un’unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale, fondata sulla differenza del sesso. «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» (cf. Mt 19,4-6). San Paolo è ancora più esplicito quando insegna che, se celibi e vedovi non possono vivere in continenza non hanno altra scelta che la stabile unione del matrimonio: È meglio sposarsi che ardere» (1 Cor 7,9). Col matrimonio, infatti, l’amore dei coniugi è assunto nell’amore irrevocabile che Cristo ha per la chiesa (cf. Ef 5,25-32), mentre l’unione dei corpi nell’impudicizia(12) contamina il tempio dello Spirito santo, quale è divenuto il cristiano. L’unione carnale, dunque, non è legittima se tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita.
Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la chiesa,(13) trovando, peraltro, nella riflessione degli uomini e nelle lezioni della storia un accordo profondo con la sua dottrina.
L’esperienza ci insegna che, affinché l’unione sessuale possa rispondere veramente alle esigenze della finalità, che le è propria dell’umana dignità, l’amore deve trovare la sua salvaguardia nella stabilità del matrimonio. Queste esigenze richiedono un contratto matrimoniale sancito e garantito dalla società, tale da instaurare uno stato di vita di capitale importanza, sia per l’unione esclusiva dell’uomo e della donna, sia anche per il bene della loro famiglia e della comunità umana. Il più delle volte, infatti, accade che le relazioni prematrimoniali escludono la prospettiva della prole. Ciò che viene presentato come un amore coniugale non potrà, come dovrebbe essere, espandersi in un amore paterno e materno; oppure, se questo avviene, risulterà a detrimento della prole, che sarà privata dell’ambiente stabile, nel quale dovrebbe svilupparsi per poter in esso trovare la via e i mezzi per il suo inserimento nell’insieme della società.
Il consenso che si scambiano le persone, che vogliono unirsi in matrimonio, deve, perciò, essere esternamente manifestato e in modo che lo renda valido dinanzi alla società. Quanto ai fedeli, è secondo le leggi della chiesa che essi devono esprimere il loro consenso all’instaurazione di una comunità di vita coniugale, consenso che farà del loro matrimonio un sacramento di Cristo.
Relazioni omosessuali
8. Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti. Essi distinguono – e sembra non senza motivo – tra gli omosessuali la cui tendenza, derivando da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile.
Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria.
Certo, nell’azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio.(14) Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione.
Masturbazione
9. Spesso, oggi, si mette in dubbio o si nega espressamente la dottrina tradizionale cattolica, secondo la quale la masturbazione costituisce un grave disordine morale. La psicologia e la sociologia, si dice, dimostrano che, soprattutto tra gli adolescenti, essa è un fenomeno normale dell’evoluzione della sessualità. Non ci sarebbe colpa reale e grave, se non nella misura in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad un’auto soddisfazione chiusa in se stessa («ipsazione»), perché in tal caso l’atto sarebbe radicalmente contrario a quella comunione amorosa tra persone di diverso sesso, che secondo certuni sarebbe quel che principalmente si cerca nell’uso della facoltà sessuale.
Questa opinione è contraria alla dottrina e alla pratica pastorale della chiesa cattolica. Quale che sia il valore di certi argomenti d’ordine biologico o filosofico, di cui talvolta si sono serviti i teologi, di fatto sia il magistero della chiesa – nella linea di una tradizione costante -, sia il senso morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato.(15) La ragione principale è che, qualunque ne sia il motivo, l’uso deliberato della facoltà sessuale, al di fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità. A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall’ordine morale, quella che realizza, «in un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».(16) Soltanto a questa relazione regolare dev’essere riservato ogni esercizio deliberato sulla sessualità. Anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo peccato con una distinta denominazione, la tradizione della chiesa ha giustamente inteso che esso veniva condannato nel nuovo testamento, quando questo parla di «impurità», di «impudicizia», o di altri vizi, contrari alla castità e alla continenza.
Le inchieste sociologiche possono indicare la frequenza questo disordine secondo i luoghi, la popolazione o le circostanze prese in considerazione; si rilevano così dei fatti. Ma i fatti non costituiscono un criterio che permette di giudicare del valore morale degli atti umani.(17) La frequenza del fenomeno in questione è, certo, da mettere in rapporto con l’innata debolezza dell’uomo in conseguenza del peccato originale, ma anche con la perdita del senso di Dio, la depravazione dei costumi, generata dalla commercializzazione del vizio, la sfrenata licenza di tanti spettacoli e di pubblicazioni, come anche con l’oblio del pudore, custode della castità.
La psicologia moderna offre, in materia di masturbazione, parecchi dati validi e utili, per formulare un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orientare l’azione pastorale. Essa aiuta a vedere come l’immaturità dell’adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l’abitudine contratta possano influire sul comportamento, attenuando il carattere deliberato dell’atto, e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave. Tuttavia, in generale, l’assenza di grave responsabilità non deve essere presunta; ciò significherebbe misconoscere la capacità morale delle persone.
Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà preso in considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare il precetto particolare della castità. Si vedrà, specialmente, se si fa ricorso ai mezzi necessari, naturali e soprannaturali, che l’ascesi cristiana, nella sua esperienza di sempre, raccomanda per dominare le passioni e far progredire la virtù.
Opzione fondamentale
10. Il rispetto della legge morale, nel campo della sessualità, come anche la pratica della castità, sono compromessi non poco soprattutto presso i cristiani meno ferventi, dall’attuale tendenza a ridurre all’estremo – quando addirittura non è negata – la realtà del peccato grave, almeno nell’esistenza concreta degli uomini.
Certuni arrivano fino ad affermare che il peccato mortale, che separa l’uomo da Dio, si verificherebbe soltanto nel rifiuto diretto e formale, col quale ci si oppone all’appello di Dio, o nell’egoismo che, completamente e deliberatamente, esclude l’amore del prossimo. E allora soltanto, dicono, che ci sarebbe l’«opzione fondamentale», cioè la decisione che impegna totalmente la persona e che sarebbe richiesta per costituire un peccato mortale; per mezzo di essa l’uomo, dall’intimo della sua personalità, assumerebbe o ratificherebbe un atteggiamento fondamentale nei riguardi di Dio e degli uomini. Al contrario, le azioni chiamate «periferiche» (che – si dice – non implicano, in generale, una scelta decisiva) non arriverebbero a modificare l’opzione fondamentale, tanto più che esse procedono spesso – si osserva – dall’abitudine. Esse possono, dunque, indebolire l’opzione fondamentale, ma non modificarla del tutto. Ora, secondo questi autori, un mutamento dell’opzione fondamentale verso Dio avviene più difficilmente nel campo dell’attività sessuale, dove, in generale, l’uomo non trasgredisce l’ordine morale in maniera pienamente deliberata e responsabile, ma piuttosto sotto l’influenza della sua passione, della sua fragilità o immaturità e, talvolta, anche dell’illusione di testimoniare così il suo amore per il prossimo; al che spesso si aggiunge la pressione dell’ambiente sociale.
In realtà è, sì, l’opzione fondamentale che definisce, in ultima analisi, la disposizione morale dell’uomo; ma essa può essere radicalmente modificata da atti particolari, specialmente se questi sono preparati – come spesso accade – da atti anteriori più superficiali. In ogni caso, non è vero che uno solo di questi atti particolari non possa esser sufficiente perché si commetta peccato mortale.
Secondo la dottrina della chiesa, il peccato mortale che si oppone a Dio non consiste soltanto nel rifiuto formale e diretto del comandamento della carità; esso è ugualmente in questa opposizione all’autentico amore, inclusa in ogni trasgressione deliberata, in materia grave, di ciascuna delle leggi morali.
Cristo stesso ha indicato il duplice comandamento dell’amore quale fondamento della vita morale; ma da questo comandamento «dipende tutta la legge e i profeti» (Mt 22,40): esso dunque comprende gli altri precetti particolari. Di fatto, al giovane che gli domandava: «Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Gesù rispose: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti:… non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,16-19).
L’uomo pecca, dunque, mortalmente non soltanto quando il suo atto procede dal disprezzo diretto di Dio e del prossimo, ma anche quando coscientemente e liberamente, per un qualsiasi motivo, egli compie una scelta il cui oggetto è gravemente disordinato. In questa scelta, infatti, come è stato detto sopra, è già incluso il disprezzo del comandamento divino: l’uomo si allontana da Dio e perde la carità. Ora, secondo la tradizione cristiana e la dottrina della chiesa, e come riconosce anche la retta ragione, l’ordine morale della sessualità comporta per la vita umana valori così alti, che ogni violazione diretta di quest’ordine è oggettivamente grave.(18)
È vero che nelle colpe di ordine sessuale, visto il loro genere e le loro cause, avviene più facilmente che non sia pienamente dato un libero consenso, e questo suggerisce di esser prudenti e cauti nel dare un giudizio circa la responsabilità del soggetto. Qui, in particolare, è il caso di richiamare le parole della Scrittura: «L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16,7). Tuttavia, raccomandare una tale prudenza di giudizio circa la gravità soggettiva di un atto peccaminoso particolare non significa affatto che si debba ritenere che, nel campo sessuale, non si commettano peccati mortali.
I pastori devono, dunque, dar prova di pazienza e di bontà; ma non è loro permesso né di rendere vani i comandamenti di Dio, né di ridurre oltre misura la responsabilità delle persone. «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone».(19)
La virtù della castità
11. Come è stato detto sopra, la presente dichiarazione intende attirare, nelle presenti circostanze, l’attenzione dei fedeli su certi errori e comportamenti dai quali si devono guardare. La virtù della castità non si limita, però, ad evitare le colpe indicate; essa implica, altresì, esigenze positive e più alte. E una virtù che dà una impronta a tutta la personalità, nel suo comportamento sia interiore che esteriore.
Essa deve distinguere le persone, nei loro differenti stati di vita: le une, nella verginità o nel celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso;(20) le altre, nella maniera, quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano sposate o celibi. Tuttavia, in ogni stato di vita, la castità non si riduce a un atteggiamento esteriore: essa deve rendere puro il cuore dell’uomo, secondo la parola di Cristo: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28).
La castità è compresa in quella continenza che Paolo annovera tra i doni dello Spirito santo, mentre condanna la lussuria come un vizio particolarmente indegno del cristiano e che esclude dal regno dei cieli (cf. Gal 5,19-23; 1 Cor 6,9-11). «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello… Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito» (1 Ts 4,3-8; cf. Col 3,5-7; 1 Tm 1,10). «Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi… Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolatri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,3-8; cf. 4,18-19).
L’apostolo, inoltre, precisa la ragione propriamente cristiana di praticare la castità, quando condanna il peccato di fornicazione non soltanto nella misura in cui quest’azione fa torto al prossimo o all’ordine sociale, ma perché il fornicatore offende Cristo, che lo ha riscattato con il suo sangue e di cui egli è membro, e lo Spirito santo, di cui egli è tempio: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?… Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6,15.18-19).
Quanto più i fedeli comprenderanno il valore della castità e la sua necessaria funzione nella loro vita di uomini e di donne, quanto più avvertiranno, per una sorta d’istinto spirituale, ciò che questa virtù esige e suggerisce, tanto meglio essi sapranno anche accettare e compiere, docili all’insegnamento della chiesa, ciò che la retta coscienza detterà loro nei casi concreti.
12. L’apostolo san Paolo descrive in termini drammatici il doloroso conflitto, nell’interno dell’uomo schiavo del peccato, tra la «legge della sua mente» e la «legge della carne nelle sue membra», che lo tiene prigioniero (cf. Rm 7,23). Ma l’uomo può ottenere d’esser liberato dal suo «corpo di morte» mediante la grazia di Gesù Cristo (cf. Rm 7,24-25). Di questa grazia godono gli uomini che essa stessa ha reso giusti, coloro che la legge dello Spirito, che dà la vita in Cristo, ha liberato dalla legge del peccato e dalla morte (Rm 8,2). Perciò, l’apostolo li scongiura: «Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12).
Questa liberazione, pur rendendo idonei a servire Dio in novità di vita, non sopprime la concupiscenza che proviene del peccato originale, né gli incitamenti al male di un «mondo che giace sotto il potere del maligno» (1 Gv 5,19). Perciò l’Apostolo incoraggia i fedeli a superare le tentazioni con la forza di Dio (cf.1 Cor 10,13) «e a resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) mediante la fede, la preghiera vigilante (cf. Ef 6,16.18) e una austerità di vita che riduce il corpo a servizio dello Spirito (cf. 1 Cor 9,27).
Vivere la vita cristiana sulle orme di Cristo richiede che ciascuno «rinneghi se stesso e prenda la sua croce ogni giorno» (Lc 9,23), se sorretto dalla speranza della ricompensa: «Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tm 2,11-12).
Nella linea di questi insistenti inviti, i fedeli anche nel nostro tempo, anzi oggi più che mai, devono adottare i mezzi, che sono stati sempre raccomandati dalla chiesa per vivere una vita casta: la disciplina dei sensi e dello spirito, la vigilanza e la prudenza nell’evitare le occasioni di peccato, la custodia del pudore, la moderazione nei divertimenti, le sane occupazioni, il frequente ricorso alla preghiera e ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. I giovani, soprattutto, devono preoccuparsi sviluppare la loro pietà verso l’immacolata Madre di Dio e proporsi, come esempio da imitare, la vita dei santi e degli altri fedeli, specialmente dei giovani, che si sono distinti nella pratica della castità.
Occorre, in particolare, che tutti abbiano un’alta idea della virtù della castità, della sua bellezza e del suo rifulgente splendore. Essa onora l’essere umano e lo rende capace di un amore vero, disinteressato, generoso e rispettoso degli altri.
13. È compito dei vescovi insegnare ai fedeli la dottrina morale concernente la sessualità, quali che siano le difficoltà che l’adempimento di questo compito incontra di fronte alle idee e ai costumi oggi diffusi. Questa dottrina tradizionale sarà approfondita, espressa in maniera adatta a illuminare le coscienze dinanzi alle nuove situazioni che si sono create, e arricchita con discernimento da ciò che può esser detto di vero e di utile circa il significato e il valore della sessualità umana. Mai principi e le norme di vita morale, che sono stati confermati nella presente dichiarazione, devono essere fedelmente ritenuti e insegnati. Si tratta, in particolare, di far capire ai fedeli che la chiesa non li mantiene come inveterati «tabù», né in forza di qualche pregiudizio manicheo, come spesso si pretende, ma perché sa con certezza che essi corrispondono all’ordine divino della creazione e allo spirito di Cristo e, dunque, anche alla dignità umana.
Missione dei vescovi è, altresì, quella di vigilare perché nelle facoltà di teologia e nei seminari sia esposta la sana dottrina alla luce e sotto la guida del magistero della chiesa. Essi devono, parimenti, avere cura che i confessori illuminino le coscienze e che l’insegnamento catechistico sia impartito in perfetta fedeltà alla dottrina cattolica.
Ai vescovi, ai sacerdoti e ai loro collaboratori spetta di mettere in guardia i fedeli contro le opinioni erronee, spesso proposte nei libri, nelle riviste e in pubblici convegni.
I genitori per primi, come anche gli educatori della gioventù, si sforzeranno di condurre, mediante un’educazione integrale, i loro figli e i loro allievi alla maturità psicologica, affettiva e morale quale conviene alla loro età. Essi daranno loro, a questo scopo, un’informazione prudente e adatta alla loro volontà ai costumi cristiani non soltanto con i consigli, ma soprattutto con l’esempio della loro propria vita, con l’aiuto di Dio ottenuto mediante la preghiera. Sapranno anche proteggerli dai tanti pericoli che i giovani neppure sospettano.
Gli artisti, gli scrittori e tutti coloro i quali dispongono degli strumenti di comunicazione sociale, devono esercitare la loro professione in accordo con la loro fede cristiana, coscienti della enorme influenza che essi possono esercitare. Essi devono ricordare che «il primato dell’ordine morale oggettivo deve essere rispettato assolutamente da tutti»,(21) e che non è lecito preferirgli un preteso fine estetico, un vantaggio materiale o il successo. Si tratti di creazione artistica o letteraria, di spettacoli o di informazioni, ciascuno, nel proprio campo, darà prova di tatto, di discrezione, di moderazione e di un giusto senso dei valori. In tal modo, lungi dall’aumentare la crescente licenza dei costumi, essi contribuiranno a frenarla, e a risanare anche il clima morale della società.
Da parte loro, tutti i fedeli laici, in virtù del loro diritto e del loro dovere d’apostolato, si faranno premura di agire nello stesso senso.
È conveniente, infine, ricordare a tutti queste parole del concilio Vaticano II: «Il sacro concilio dichiara che i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere stimolati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente; perciò chiede con insistenza a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione, di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto».(22)
Il sommo pontefice Paolo VI, nell’udienza accordata al sottoscritto prefetto della congregazione per la dottrina della fede il 7 novembre 1975, ha ratificato e confermato questa dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale, ordinandone la pubblicazione.
Roma, palazzo della Congregazione per la dottrina delle fede, 29 dicembre 1975.
Franjo card. ŠEPER,
prefetto
Jérôme HAMER o.p.,
arciv. tit. di Lorium,
segretario
________________________________________
NOTE
(1) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Dichiarazione Persona Humana circa alcune questioni di etica sessuale, 29 dicembre 1975: AAS 68(1976) (testo originale latino); EV 5/1717-1745 (testo bilingue).
(2) Cf. Gaudium et spes, 47: nn. 9-10; EV 1/1469.
(3) Cf. Cost. ap. Regimini ecclesiae universae. 15.8.1967, n. 29: EV 2/1569.
(4) Cf. Gaudium et spes, 16: EV 1/1369.
(5) Dignitatis humanae, 3: EV 1/1047.
(6) Dignitatis humanae, 14: EV 1/1080; cf. Pio XI, Enc. Casti connubii, 31.12.1930: AAS 22(1930), 579-580; EE 5/552s; Pio XII, Allocuzione 2.11.1954: AAS 46(1954), 671-672; GIOVANNI XXIII, Enc. Mater et magistra, 15.5.1961: AAS 53(1961 ), 457; EE 7/457; Paolo VI, Enc. Humanae vitae, 25.7.1968, n. 4: n. 40-42; EV 3/591.
(7) Cf. Gravissimum educationis, 1 e 8: EV 1/822.839; Gaudium et spes, 29, 60, 67: EV 1/1410.1519.1547.
(8) Cf. Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483.
(9) Cf. Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483; cf. anche n. 49: n. 15-16; EV 1/1475s.
(10) Cf. Gaudium et spes, 49 e 50: nn. 15-20; EV 1/1475-1480.
(11) La presente Dichiarazione non comprende tutte le norme morali sulla vita sessuale nel matrimonio, essendo queste egregiamente esposte nelle lettere encicliche Casti connubii e Humanae vitae.
(12) Il rapporto sessuale extramatrimoniale viene espressamente condannato in 1 Cor 5,1-6.9; 7,2; 10,8; Ef 5,5-7; 1 Tm 1,10; Eb 13,4; e con argomentazioni chiare: 1 Cor 6,12-20.
(13) Cf. INNOCENZO IV, Ep. Sub catholicae professione, 6.3.1254: Denz 835; Pio II, Proposizioni condannate nella lettera Cum sicut accepimus, 14.11.1459: Denz 1367; Sant’Offizio, Decreti del 24.9.1665 e 2.3.1679: Denz 2045 e 2148; Pio XI. Enc. Casti connubii, 31.12.1930: 22(1930), 558-559; EE 5/497-499.
(14) Rm 1,24-27: «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento». Cf. anche quello che Paolo dice a proposito degli uomini sodomiti e pervertiti in 1 Cor 6,10 e 1 Tm 1,10.
(15) Cf. LEONE IX, Ep. Ad splendidum nitentis, a. 1054: Denz 687-688; Sant’Offizio, Decreto del 2.3.1679: Denz 2149; Pio XII, Allocuzioni dell’8 ottobre 1953 e del 19 maggio 1956: AAS 45(1953), 677s e 58(1956), 472s.
(16) Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483.
(17) «Se le inchieste sociologiche ci sono utili per meglio conoscere la mentalità dell’ambiente, le preoccupazioni e le necessità di coloro ai quali annunciamo la parola di Dio, come pure le resistenze che le oppone l’umana ragione nell’età moderna, con l’idea largamente diffusa che non esisterebbe, fuori della scienza, alcuna forma legittima di sapere, le conclusioni di tali inchieste non potrebbero costituire di per se stesse un criterio determinante di verità» (Paolo VI, Esort. apost. Quinque iam anni, 8.12.1970: EV 3/2883 ).
(18) Cf, sopra le note 13 e 15: Sant’ Offizio, Decreto del 18 marzo 1666: Denz 2060; PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, nn. 13 e 14: nn. 65-69; EV 3/599s.
(19) PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 29: nn. 95; EV 3/615.
(20) Cf. 1 Cor 7,7.34; Conc. Di Trento, sess. 24, can. 10: Denz 1810; CONC. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 42, 43, 44: EV 1/397-407; Sinodo dei Vescovi 1971, Il sacerdozio ministeriale, parte II, 4 b: EV 4/1211.
(21) Conc. Vaticano II. Decreto Inter mirifica, 6: EV 1/254.
(22) Conc. Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 1: EV 1/824.